Analisi/Avvocati

Mi è capitato più volte di incontrare Dio nel mio studio. Il Dio riportato nelle parole degli analizzati sul lettino. Ho sempre trovato una differenza sostanziale nella capacità di assorbire i colpi della vita da parte degli appartenenti ai due estremi della linea del credo: gli atei radicali, coloro i quali hanno sempre fatto a meno di un Dio, e i fedeli convinti della sua presenza.

Gli appartenenti al primo gruppo sono naturalmente dotati di una fede incrollabile nell’uomo, nelle sue virtù razionali, e al contempo armati di un’immensa riserva di cinismo, lunga quanto la vita intera, devoti all’idea che l’uomo contenga in sé la capacità di sopportare ogni fardello che il tempo gli riservi, senza dover chiedere aiuto o sostegno a qualcosa che non sia razionalmente spiegabile. Molti di essi hanno subito colpi tremendi dalla sorte. Nel loro sentire, ciò fa parte dell’infinito gioco delle possibilità al quale si è esposti quando si viene al mondo. “La mia vita ha perso ogni prospettiva”, mi disse tempo fa un uomo che vide decimata la sua famiglia in un incidente stradale. Sono soggetti alle sferzate della depressione, alle cadute del tono dell’umore, all’angoscia che riconoscono come elemento umano essenziale.

Assumono lo psicofarmaco senza credere alla risoluzione chimica del loro tormento, ma lo sanno usare come stampella. Desiderano a volte farla finita, senza troppe lamentele, ma con lucida presa d’atto che la benzina della loro anima è terminata. L’impossibile appello a un’entità trascendente li priva di qualsiasi giaculatoria. Sanno di non scontare il fio di alcun peccato, perché al peccato non credono. Sono i protagonisti assoluti della loro vita, nel bene e nel male. Se compiono atti estremi, come ad esempio il suicidio, difficilmente lasciano testamenti accusatori contro questo o quello. Sanno di essere portatori di un rischio esistenziale congenito, e se ne assumono ogni responsabilità.

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